Dire l’indicibile –

Marzo 2021 –

Lettera inviatami dall’indimenticato amico Gio Ferri (1936 – 2018), poeta, scrittore, saggista che si interessò alla mia scrittura e con il quale scambiai riflessioni nel farsi della poesia.

Marzo 2021

A Stefano Iori Lesa sul Lago Maggiore, 2 luglio 2013

Caro Stefano,
Con la mia breve prefazione a questa raffinata plaquette, eppure non propriamente a fior di pelle – come s’usa dire -, anzi sottopelle come recita il titolo, ho creduto di veder esaltata in realtà l’apparizione inattesa di una valenza subconscia di rara efficacia, nella dismisura dell’impossibile. Oltre la tangibilità delle cose, delle presenze.
Così, per esempio, con la poesia La croce del dubbio metti in rilievo la contraddizione tra il desideri del sogno dei profumi di Kazimerz, la predisposizione fantasmatica a partire, e l’attaccamento al presente, il timore forse della rischiosa ventura:

Ho un piede sulla banchina / e l’altro sul predellino del treno / ma non so decidermi a partire…

E giungi a constatare che nessun destino è scritto:

… Resto fermo senza una ricetta / Resto fermo senza un invito…

C’è un rischio comunque da affrontare, di “poesia come rischio”, di un “salto nel buio” (un’altra tua poesia di cui ho già detto nel titolo della mia nota). Restare fermi nella, seppur relativa, sicurezza della quotidianità (non priva comunque di brucianti disillusioni), o rompere gli indugi verso un universo altro, sognato ma, perciò, ignoto. Una condizione oscura, oltre la porta verso il precipizio, che tuttavia non è fuori di noi, ma è racchiusa nel magazzino del limbo (una delle mappe cerebrali), in cui sono accatastate le memorie. Memorie che quando – tramite la volontà di poesia come contraddizione – vengono misteriosamente alla superficie, provocano l’esplosione dello spirito, della mente, della carne stessa (un brivido sottopelle).
Così con un piede a terra e l’altro sul predellino del treno in partenza, l’andatura corporale quasi basculante (equilibrio assai instabile), ci costringe a fare una scelta. Perché la poesia, contrariamente a quanto si favoleggia, non nasce dall’ispirazione ma dalla volontà d’essere e non essere. Di fare e non fare. Di spezzare, almeno per un momento, le catene di una sicura prigionia. Ogni giorno dobbiamo affrontare tanti problemi, ma in realtà nessuno nasce dal profondo della nostra capacità o in-capacità di vivere, ma nascono, i problemi, semplicemente dalla necessità di sopravvivere. Perciò la poesia, che sprofonda sottopelle, non è schiava di alcuna necessità. La poesia è inutile, rispetto agli affanni che ci tormentano a fior di pelle. Tanto è inutile la poesia che addirittura può darsi nel silenzio. Mi riferisco a quel tuo testo dalla raffinata colloquialità, intitolato per l’appunto Silenzio imperfetto:

Minuti contati / a sperare risposte, / in tenera attesa, / rispettando gli arcani / che sussurri o gridi / Ascolto e non dico / mentre il miele del desìo / monta e scalda / nella paura / Scuoto la testa / non capisco / Non intendo i tuoi fantasmi / Per fortuna / basta un sorriso / Il tuo di resa, / il mio uguale / Trionfo del non detto / Gioia del silenzio imperfetto / Questo ci vince, / questo ci convince

Silenzio come trionfo del non detto. Imperfetto poiché una sottintesa musicalità, priva di significazioni, ma assoluta di comunioni (non di ‘comunicazioni’ prammatiche e sovente menzognere), una velata quasi muta musicalità sottende al non detto, all’ascolto, appunto, in silenzio. Un silenzio certamente imperfetto poiché c’è pure una parola, la parola, ancorché non sia detta. Dire il non-dicibile è infine lo stare con un piede a terra, e l’altro sul predellino del treno in partenza.
È questa la condizione che dà vita alla poesia. Alla poesia quale una preghiera detta in silenzio. Senza alcuna pretesa d’avere, ma solamente come volontà d’essere. Leggo L’invenzione della preghiera:

… l’orecchio di Rabbi Hillel il vecchio / udì un voce / e i suoi occhi videro lontano… una luce che stagliava / contro la tenda leggera… / un uomo una donna? /… / fantasma che impazziva felice / nel vortice della conoscenza… quell’essere… inventava la preghiera.

Domandi infine: poesia come preghiera e come unica incomunicabile conoscenza. È l’invito (ricordo quando restavi fermo senza un invito) finalmente a partire:

… non trovo più la via di casa / Come il grano / mi trasformo, mi rinomino / in un breve giro del sole

Così, caro Stefano, recitavi in una poesia della tua raccolta precedente, del 2011, dal titolo Gocce scalze.

Scritta a Stefano Iori rileggendo la sua plaquette da me prefata, Sottopelle, Kolibris Edizioni, Ferrara 2013.

Gio Ferri