Zara Finzi è poetessa dell’essere sul punto di… I suoi ultimi versi sono infatti pubblicati in una silloge che si intitola Transiti, ovvero attimi di passaggio, di mutamento e di nuova consapevolezza in progress.

I componimenti presenti nella raccolta sono scatti del pensiero dell’istante, maturato però, e lo si legge in filigrana, da sapienza acquisita, sapienza poetica. E dico ‘poetica’ poiché si tratta di versi che scavalcano la realtà, trasportando il lettore nella dimensione di un’altra realtà, quella della poesia, appunto. Qualcosa di più della ‘semplice’ realtà. 
Questi tratti connotativi di Zara Finzi la pongono in due distinte apparenze letterarie, entrambe ben presenti nella raccolta Transiti. 
Da un lato c’è il pensiero ebraico che, come si sa, è dinamicissimo, costantemente in ebollizione, fuori di questo mondo, dentro il mondo futuro e di nuovo fuori e dentro. Si tratta di una intensità esistenziale, assimilata da Zara in virtù della sua genìa, che vede il soggetto, pensante e scrivente, stare sempre sulla soglia, anzi, valicare avanti e indietro quel confine che separa i ricordi dalla speranza, il passato da ciò che ancora non è. Il ‘popolo prescelto’ fu destinato a lasciare la propria terra (E il Signore disse ad Abramo: vai, vattene (lech lecha) dalla tua terra, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre) per affrontare altri luoghi e altre persone, sempre incompiuti. Il passato risulta addirittura reinventabile in tal modo, per arrivare a costituire un oggi che è già domani. Il domani ebraico è vissuto come artificio mentale, come epidermide di una ideazione che si muove vorticosamente nel silenzio assorto, sottile, svuotato, del transito. Un silenzio che trova voce solo nella poesia.
L’altra apparenza letteraria è squisitamente poetico-linguistica. E ci dice che la poesia è necessaria in quanto alternativa al dire e soprattutto al pensare comune.
Chiudo citando Daniele Barbieri che nella prefazione al libro scrive: “Rimane, alla lettura di queste poesie, un senso costante e leggero di disagio, come un’impossibilità di arrivare a risoluzione; come un’incertezza sistematica, per cui qualsiasi verità assodata può essere messa in dubbio, persino l’amore, persino gli affetti”. 
Credo che Barbieri sia giunto con la sua frase alle immediate conseguenze di ciò che ho prima delineato. Incertezza, dubbio, indeterminatezza. Transito, appunto, che portandoci un fiato avanti rispetto a ciò che siamo, ci dice ciò che saremo, anche se questo è per noi qualcosa di indefinibile. 
È la luce-ombra di noi stessi che viaggia nel solco dei versi di Zara Finzi e che cresce con le sue poesie.

dimmi dove
cercare ancora una
rima, se la
carta si affranca
e vola via per
incunearsi nella notte piena
nelle vigilie

Zara Finzi, di origine mantovana, con la guida di Luciano Anceschi si è laureata a Bologna, dove vive e opera. Ha pubblicato, tra gli altri, i volumi Gemente seflente (Centauro, 2001) con introduzione di Ezio Raimondi, Il trimestre mancante (Il girasole, 2005), La porta della notte (Manni, 2008), Compensazioni (Raffaelli, 2011) e due plaquettes (Pulcinoelefante, 2005 e 2006). Suoi testi compaiono su “Poesia”, “Le Voci della Luna”, “Graphie”, e in varie antologie fra cui Cinque anni dopo il duemila (Giraldi, 2005), Laboratorio di parole (Pendragon, 2006), Caleidoscopio (Pontegobbo, 2010). 
La raccolta Transiti è pubblicata da Manni (2022), casa editrice che, della stessa autrice, ha proposto al pubblico, negli ultimi anni, le sillogi Le forme della neve (2018) e Spazio/Tempo/Piatto (2020).

è così rapido l’essenziale che
accade all’improvviso, poi
se ne va in fretta come il tordo
a luglio, e
non sai mai se il primo sia l
ultimo o l’ultimo il primo

Le due poesie sopra riportate fanno parte della raccolta Transiti